Biografia

Biografia di Tano Festa 

Tano Festa nasce a Roma il 2 novembre 1938. La madre, Anita Vezzani, era nata nel 1903 a Boschi di Baricella, in provincia di Bologna, da una famiglia di commercianti. Il padre, Vincenzo Festa, era di origine palermitana e napoletana. I genitori si erano incontrati a Trieste intorno ai primi anni Trenta, dove il padre lavorava come sarto in un grande magazzino. La madre invece, si trovava a Trieste sposata con un ufficiale della marina mercantile Paolo Lo Savio, da cui aveva già avuto due figlie. Anita, lasciato il marito, si trasferisce a Roma con Vincenzo nel 1933, dalla loro unione nasceranno due figli, Francesco nel 1935, e Tano nel 1938. Francesco sarà registrato all’anagrafe con il nome del marito di Anita, Lo Savio, pur essendo figlio di Vincenzo Festa, Tano prenderà invece il nome del padre. Dopo via Palermo, dove nascono Francesco e Tano, la famiglia si trasferisce in via dei Serpenti, poi per pochi mesi in una villetta a Ostia e poi in via Vespasiano. Infine Vincenzo Festa riuscirà ad avere un posto di impiegato ministeriale ed otterrà una casa nella zona delle Capannelle.
Nel 1952 Tano Festa si iscrive all’Istituto d’Arte in via Conte Verde a Roma e si diploma nel 1957 in “Fotografia Artistica” con il professore Alberto Libero Ferretti. Questi racconta come Festa fosse attratto soprattutto dagli effetti della reazione chimica, che si ottengono in camera oscura gettando l’acido direttamente sulla carta fotografica. Fin dagli inizi i compagni di Tano Festa sono i coetanei , Mario Schifano e Franco Angeli, e altri poco più giovani come Renato Mambor e Sergio Lombardo. Con loro maturò un’amicizia destinata a durare a lungo, un sodalizio che si estese ad altri giovani artisti, Giosetta Fioroni, Cesare Tacchi, Jannis Kounellis, Mario Ceroli, Umberto Bignardi, e che segnò una stagione felice dell’arte a Roma. Cesare Vivaldi in un articolo comparso nel 1963 su “Il Verri” riconobbe un’affinità di espressione a questa compagine di artisti che definì: “Giovane scuola di Roma”. L’epiteto ebbe anche una diversa e ben nota declinazione in: Scuola di Piazza del Popolo, dal nome della piazza dove artisti e letterati erano soliti incontrarsi, intorno ai tavoli del Caffè Rosati o nella sede della galleria La Tartaruga. La prima esposizione di Tano Festa documentata è la partecipazione alla “Mostra di Pittura” per il “Premio Cinecittà”, organizzata dal Partito Comunista Italiano nell’ottobre 1958. I disegni che sono rimasti a testimoniare i suoi esordi, tra il 1956 e il 1958, hanno ascendenze surrealiste: un impianto segnico talvolta inquadrato in una visone prospettica, che ricorda i dipinti di Matta. Renato Mambor, che divise lo studio con Tano Festa tra il 1959 e il 1961, ricorda: “(…) Eravamo tutti attratti dal Surrealismo e Tano all’inizio faceva delle cose un po’ surreali, tante piccole ‘zoomorfe’, così le chiamava, erano come piccoli insetti. Eravamo tutti e due innamorati del primo Matta (…)”. Fin dagli inizi Tano Festa scrisse poesie, un’attività marginale rispetto alla pittura, ma praticata per tutto il corso della sua vita, così come costante fu il suo interesse per la letteratura e per i poeti, come Sandro Penna, che fu un suo intimo amico. Si racconta che nel 1955 Festa regalasse poesie ai passanti sulla scalinata di piazza di Spagna, scritte su fogli illustrati dall’amico Ettore Sordini. Nel 1959 Tano Festa approda alla galleria La Salita di Gian Tomaso Liverani, all’epoca una delle sedi espositive più prestigiose a Roma per l’arte contemporanea. Espone, inizialmente, in una collettiva, insieme a Franco Angeli e a Giuseppe Uncini. “Fin dalle sue prime esperienze”, è scritto di Tano Festa nel cartoncino distribuito in occasione della mostra, “ha rivelato particolare interesse verso alcune tendenze del surrealismo astratto europeo e americano”.
Nel 1960 Festa abbandona la gestualità informale e realizza i suoi primi dipinti monocromi. Privilegia il colore rosso solcato da strisce di carta, imbevute dello stesso colore, che scandiscono verticalmente la superficie del quadro. Il rosso di Tano Festa non é sensuale ed elegante come i colori di Mario Schifano, che in contemporanea con il suo amico realizzava lo stesso radicale azzeramento. Quello di Festa è un rosso che ricorda una materia organica come il sangue, ma anche la luce utilizzata nella camera oscura nella fase dell’impressione fotografica.
Nel 1960 Angeli, Festa, Lo Savio, Schifano e Uncini presentano al pubblico, con una serie di mostre, la loro nuova pittura anti-rappresentativa, aniconica, monocroma. Una prima mostra è documentata alla galleria Appunto di Roma, in aprile espongono nella galleria “Il Cancello di Bologna”, presentati dal poeta Emilio Villa, l’esegeta più sensibile, autore e ideatore della rivista “Appia Antica” (1959-1960). Gli stessi artisti, infine, nel novembre del 1960, inaugurano a La Salita la nota mostra “Roma 60. 5 pittori”, presentata da Pierre Restany, il critico francese che situò questi giovani tra Parigi e New York, tra i neodadaisti e gli artisti del Nouveau Realisme, da lui tenuto a battesimo proprio in quegli anni. Nel 1961 Festa comincerà a scandire la superficie dei suoi quadri non più con la carta, ma con listelli di legno disposti verticalmente a intervalli irregolari. Sono questi i nuovi lavori che l’artista presenta alla sua prima personale nel maggio 1961 alla galleria La Salita, in occasione della quale viene pubblicato un catalogo con testo di Cesare Vivaldi. Il legno, sostituendo la carta, contribuisce a dare un aspetto più oggettuale al quadro e l’uso di vernici industriali allontana definitivamente ogni partecipazione emotiva dell’autore. Sopravvivono, però, in questi lavori delle componenti surrealistiche, rivelate da un’aritmia nella scansione degli spazi, da un senso di straniamento, come sottolinea Filiberto Menna nel recensire la mostra: “(…) non bisogna lasciarsi ingannare dalla “oggettività” di questi pezzi. Voglio dire che sotto la volontà costruttiva dell’artista, si avverte come un’incrinatura (…)”.
Nel 1961 Festa partecipa al “XII Premio Lissone” e a partire da quest’anno si intensificano gli inviti alle mostre a conferma del crescente interesse che la critica rivolge al suo lavoro.
Nel 1962 fanno il loro ingresso, nell’arte di Tano Festa, gli oggetti. Finestre, Porte, Armadi, oggetti del comune mobilio, ricostruiti dal falegname secondo il disegno dell’artista, privi di cardini, maniglie, serrature, perennemente chiusi. La Finestra rossa e nera è esposta per la prima volta nel maggio del 1962, in una mostra collettiva intitolata: “La materia a Roma” a La Tartaruga di Plinio De Martiis, che segna l’inizio di una lunga collaborazione con questa importante galleria romana, dove in quegli stessi anni esponevano Kounellis e Twombly, Rauschenberg, Rothko, Kline. Lì Festa incontrò Giorgio Franchetti, che allora collaborava con Plinio De Martiis e che diventerà il più importante collezionista dell’artista e rimarrà negli anni suo amico e sostenitore. Tutto il 1962 fu un anno importante per Tano Festa. Soggiorna a Parigi per aver vinto una borsa di studio del Ministero della Pubblica Istruzione (ma inspiegabilmente rientra a Roma prima del previsto), a giugno con “Finestra n. 1″ e “Omaggio a Vermeer” partecipa alla mostra “Nuove prospettive della pittura italiana” a Palazzo di Re Enzo a Bologna e ad agosto partecipa al “VII Premio Termoli”, vincendo il Terzo Premio dell’Amministrazione Provinciale con l’opera Stanza rossa. A ottobre è invitato alla mostra “New Realists” alla galleria Sidney Janis di NewYork, dove propone: “Persiana”. L’importante iniziativa, presentata da John Ashbery e da Pierre Restany, riunì i principali artisti internazionali interessati alle poetiche dell’oggetto, quelli della corrente definita in America New Dada e in Francia Nouveau Realisme, dal cui ambito emergerà, di lì a poco, la Pop Art.
Nel 1962 fanno il loro ingresso nel repertorio di Tano Festa I’Obelisco e la Lapide, mentre nel corso dell’anno successivo nei suoi mobili, all’interno dei telai, compaiono le prime scritte. Al 1963 risalgono anche i suoi primi quadri con citazioni da artisti del passato. Nel settembre del 1963 Francesco Lo Savio tentò il suicidio in un albergo all’interno della Unité d’habitation di Le Corbusier e morì dopo un’agonia di venti giorni. Antonella Amendola racconta il rapporto di Tano Festa con il fratello e dell’assistenza che gli diede negli ultimi giorni di vita: “C’è un prima e un poi nel destino di Tano. Prima della morte di Francesco a Marsiglia. Dopo la morte di Francesco a Marsiglia. (…) Tano così mi raccontò, rimase giorni e giorni, forse diciotto, al capezzale del fratello moribondo. Si allontanò solo quando i medici gli dissero che c’era un certo miglioramento. Fece appena in tempo ad arrivare in albergo (…) che gli telefonarono dall’ospedale: ‘Venez: votre frère est très fatiguè’. Francesco era morto (…)”.
Tra le opere esposte nel dicembre del 1963 nella mostra personale a Parigi, alla Galerie J, presentata da Pierre Restany, compare Lapide, dipinta a smalto bianco, con la scritta normografica, “Lapide”, alla base, stagliata sullo sfondo di un cielo azzurro attraversato da nuvole bianche. In ordine di tempo, la prima figura tratta da un’opera del passato ad essere elaborata da Tano Festa nel 1963 è l’effige del mercante lucchese Giovanni Arnolfini dipinta nel 1434 da Jan Van Eyck ne l coniugi Arnolfini. Tra le prime citazioni di Festa vi è anche La grande odalisca di Ingres, ma le immagini tratte da Michelangelo saranno le più frequenti. La prima si trova nell’opera: Particolare della Sistina dedicato a mio fratello Lo Savio, del 1963, ed è una citazione dell’Adamo di Michelangelo come compare sulla volta della Cappella Sistina. Tratte dallo stesso soggetto sono le due versioni de “La Creazione dell’Uomo”, esposte alla Biennale di Venezia del 1964. Si tratta di strutture di legno composte da quattro pannelli verticali, di diverse misure, affiancati e uniti a formare quasi un “paravento”, al cui interno viene sezionata,”smontata” la figura del primo uomo che allunga il braccio verso il Creatore. Nelle “interruzioni”, tipiche del linguaggio di Festa, il gesto dell’Adamo viene rallentato ed acquista una dimensione temporale nuova. In questi lavori l’immagine antica, tratta spesso da una fotografia in bianco e nero di matrice Alinari, è stampata su carta ed incollata al supporto ligneo. Su questa immagine poi l’artista interveniva con lo smalto, cancellandone alcuni particolari. È interessante ricordare, circa l’Adamo, che nel 1964 ricorreva il quarto Centenario della morte di Michelangelo. Per questa occasione furono pubblicati nuovi studi sull’artista fiorentino cui venne dedicata una grande mostra al Palazzo delle Esposizioni di Roma, che aprì nel febbraio del 1964. Questa mostra, allestita da Paolo Portoghesi e Corrado Maltese, analizzava tutta l’arte di Michelangelo utilizzando nuovi, sofisticati mezzi di comunicazione tecnologici, con intento divulgativo, popular, si potrebbe dire. Uno spirito non lontano da quello con cui Tano Festa, in quei mesi, citava il suo Michelangelo.
Il 1965 è l’anno del primo viaggio di Tano Festa a New York. Prima della partenza, che avverrà ad aprile, l’artista allestisce a febbraio una mostra personale alla galleria Notizie di Torino presentata da Marisa Volpi dove espone, tra le altre opere, “Particolare della Sistina” e alcuni dipinti con il cielo azzurro solcato da nuvole bianche che da qualche tempo distingue molti suoi lavori. Il soggiorno a New York è ben documentato da una serie di lettere di Festa a Giorgio Franchetti, che svelano la tensione nel mettere a frutto la sua permanenza in una delle città più ambite per un artista, in quegli anni: “(…) Tu sai bene che venire qua è stato per me per molto tempo  un lungo sogno (…)”; vi si legge anche la difficoltà di Tano Festa di affermare a New York l’identità d’artista che egli si era creata a Roma, la delusione di non riuscire ad entrare nel mercato americano: “(…) Leo Castelli, come ho scritto a Plinio, è stato molto cortese, ma a Plinio mi sono dimenticato di aggiungere che è stato molto freddo. (…) sono certo che con lui non ci sia niente da fare (…).” Ma in queste lettere il giovane artista dimostra anche di saper cogliere criticamente gli aspetti più interessanti di New York: “(…) fino alla fine di maggio qui a New York (…) ci sono una serie di spettacoli,balletti e happening fatti dagli artisti: Rauschenberg, Dine, Oldenburg ecc. ai quali io assisto puntualmente. (…) Tempo fa sono stato nello studio di Lichtenstein (…).» È stato molto gentile, di una gentilezza autentica,modesta e non affettata. Ho incontrato pure Oldenburg, il quale è stato molto cordiale, e uno di questi giorni lo vado a trovare. (…) L’unico che non si vede è il “il grande Jim” che sarebbe Dine, di cui ho visto da Janis un quadro formidabile in una collettiva (…)” Durante il soggiorno americano Tano Festa sperimenta la tecnica del ricalco a mano di immagini proiettate o riportate su carta velina in opere come Studi per balletto o Scène de ballet o Sequenza di balletto, in cui l’artista inquadra gruppi di ballerini moderni fermati nell’attimo di acrobatici movimenti. In alcuni dipinti compaiono le sagome di pennelli,ma anche di martelli, cacciaviti e seghe, che ricordano certe composizioni di Jim Dine e di Jasper Johns. Sempre a New York nel 1965, realizza una serie di cieli, Cielo meccanico, Cielo newyorkese, Grande nuvola. Qui il cielo azzurro con nuvole, che era un tema caro a Tano Festa già dal 1963, diventa più dinamico si divide in riquadri, viene attraversato da strisce e palline:”(…) A New York, in quel momento, era talmente tutto pop che anche il cielo finiva per essere visto a palline, a strisce, a quadrettini (…)” ha dichiarato Festa in un’intervista. Questo primo soggiorno newyorkese è anche segnato da un breve viaggio di Festa in compagnia di Schifano in diverse località dell’America Latina sulle orme degli amati poeti della beat generation. Festa lavora a New York nella prospettiva di una mostra di nuovi quadri alla galleria “La Tartaruga” di Roma che, infatti, si terrà nell’ottobre di quell’anno. In quella occasione espone le prime opere dove appare un nuovo “particolare” dell’opera michelangiolesca: la testa dell’Aurora, una figura scultorea appartenente al complesso monumentale delle tombe di Giuliano e Lorenzo de’ Medici nella Sacrestia Nuova in San Lorenzo a Firenze. L’Aurora (1524-1527) si trova insieme al Crepuscolo sul sarcofago di Lorenzo de’ Medici. Insieme all’Adamo sarà il soggetto michelangiolesco più frequentato da Tana Festa, realizzato con la tecnica della proiezione su tela (con proiettore), ricalco a mano e campitura a smalto. Nel mese di luglio, mentre l’artista si trova ancora a New York, si tiene nel castello di Torre Astura a Nettuno, la “Mostra collettiva a soggetto: Corradino di Svevia 1252-1268” ideata da Gian Tommaso Liverani, e alla quale Festa partecipa con il dipinto: Dinastie des Hohenstaufen. Nel 1965 è invitato alla IX Quadriennale d’Arte di Roma; esporrà nuovamente alla X Quadriennale nel 1972 e alla Xl Quadriennale nel 1986.
Nel 1966 presenta un’antologia del suo lavoro alla Galleria Schwarz di Milano, accompagnata da un catalogo con un testo di Maurizio Fagiolo dell’Arco e partecipa alla mostra “Cinquant’ anni Dada. 1916-1966” che si tiene presso il Civico Padiglione d’Arte Contemporanea a Milano a cura di Arturo Schwarz. Risale al 1967 un nuovo lungo soggiorno a New York, cominciato negli ultimi mesi dell’anno precedente ed interrotto da un breve ritorno a Roma nell’aprile del 1967, quando Festa presiede all’apertura di una sua nuova mostra antologica a La Salita, allestita con le opere della collezione di Gian Tommaso Liverani e presentata in catalogo con una intervista all’artista di Giorgio De Marchis.
A New York, nel 1967, in uno studio al Chelsea Hotel, Festa dipinge solo immagini da Michelangelo, soprattutto dall’Aurora delle Tombe Medicee ed intitola tutte le opere: Michelangelo according to Tano Festa. Ne scrive Furio Colombo, presentando una selezione di queste opere nella mostra personale alla Galleria Arco d’ Alibert a Roma nell’ottobre del 1968, poi riproposta alla galleria Il Punto di Torino: “(…) La testa di Michelangelo sproporzionatamente grande per le strisce di luce, per i fondi di colori, (quello smalto più smagliante e più duro che si trova solo a New York), per le invenzioni grafiche, per le soluzioni formali, per le citazioni op e pop restate sul fondo degli occhi gremiti di immagini. Si è portato un’ossessione in classe turistica da Roma a New York e da New York a Roma, come si porta una malattia, un sogno ricorrente o una storia d’amore (…)”. Nell’ottobre del 1967 apre la grande rassegna intitolata “Lo spazio dell’immagine” dedicata alle opere ambientali, allestita a Palazzo Trinci a Foligno e ordinata da un comitato di curatori composto da Umbro Apollonio, Maurizio Calvesi, Giorgio De Marchis, Gillo Dorfles. Festa partecipa con Il Cielo (Monumento celeste per la morte di un poeta – dedicato a Francesco Lo Savio), una grande struttura in legno dipinto: una sorta di muro ottenuto con cinque elementi a incastro, che la pittura trasforma in un cielo solcato da nuvole. Si conosce un altro monumento di Festa dedicato al fratello, il Monumento ad un poeta morto, una scultura in metallo verniciato e parzialmente dipinto con il motivo del cielo, costituita da una cornice attraversata da una barra che dà profondità a una visione altrimenti frontale. In occasione della mostra personale alla galleria Mana Art Market di Roma, che si inaugura il 6 novembre 1969, l’artista realizza una edizione d’arte della scultura in metallo e una versione in plexiglass di grandi dimensioni (cm 200x200x25). Il 24 giugno del 1989 nell’ambito del progetto “Fiumara d’arte”, ideato da Antonio Presti, verrà inaugurata una grande versione della scultura realizzata in cemento sulla spiaggia di Villa Margi, in provincia di Messina. È documentato che Tano Festa nel 1968, realizzò alcuni film: Lo Savio il sogno felice, Patrizia fotografare è facile, lo amo De Chirico, attualmente però sono considerati dispersi o distrutti dall’artista.
In molti dipinti realizzati tra il 1967 ed il 1969, su uno sfondo bianco o azzurro, è tracciato, in nero o in blu, un disegno compositivo essenziale e geometrico che contiene scritte con il normografo o sagome di immagini proiettate. Appartengono a questa serie i dipinti: “Gli amici del cuore” del 1967 e “Per il clima felice degli anni sessanta”, del 1969, dove compaiono i nomi di artisti, collezionisti e galleristi a fianco dei quali Tano Festa aveva intensamente vissuto: Schifano, De Martiis, Franchetti, Rotella, Castellani, Lo Savio, Manzoni, Angeli. Lo stesso impianto, con numerose varianti, si trova nei dipinti intitolati, con spirito metafisico, “Solitudine nella piazza”, con la sagoma dell’ammiraglio Horatio Nelson in cima al monumento di Trafalgar Square a Londra, e nell’opera: Ici c’est la piace de la Gioconde, del 1969, in cui la scritta, quella del titolo, incorniciata in un riquadro nero, campeggia sulla superficie monocroma: l’allusione in absentia, all’opera di Leonardo, ha, come in altri lavori di Tano Festa, un carattere metafisico. Quest’ultima opera compare in una scena del film Necropolis del 1970, di Franco Brocani, regista di un colto cinema indipendente, che ebbe con Tano Festa un’intima amicizia ed un sodalizio intellettuale. Tano Festa partecipò, nel ruolo di assistente, alla regia del lungometraggio Necropolis, ambientato in un “labirinto astratto, nei cui corridoi si aggirano personaggi di un passato morto e vivo allo stesso tempo, reale o solo immaginario (…)”. All’interno di questo “Louvre – necropoli” al posto della Gioconda è rappresentata la sua “assenza”, con la scritta “Ici c’est la place de la Gioconde”. Nel 1970 Tano Festa sposa Emilia Emo Capodilista, e si trasferisce nella casa di famiglia della moglie, a Pernumia, in provincia di Padova. Dalla loro unione nasceranno due figlie: Anita e Almorina.
Nel marzo del 1970 Festa presenta i suoi nuovi lavori alla galleria “La Tartaruga” nella mostra personale intitolata: “I quadri privati”, dipinti in cui utilizza i ritratti fotografici ingranditi di alcuni dei suoi familiari. Il ritratto diventerà in seguito un genere sempre più frequentato nell’arte di Tano Festa.
All’inizio degli anni settanta l’artista sperimenta una nuova tecnica, più affidata alla materia pittorica, al gesto, al colore. Le figure sono ancora immagini tratte dall’arte del passato proiettate sulla tela, ma riproposte in modo più frammentario, tanto che in certi casi perdono quasi del tutto il loro legame con l’opera di provenienza. È il caso del frammento dell’albero del Peccato originale sulla volta della Cappella Sistina, a volte ripetuto in sequenza, o riproposto accanto ad altre, il tutto all’interno di inquadrature prospettiche fatte con sottili linee di gessetto bianco che conferiscono alla scena un’indeterminatezza spaziale ed un totale antinaturalismo. Insieme a queste tele, Festa, mette a punto un tipo di composizione in cui campeggia isolato un nome, a caratteri normografici, di un pittore dell’Ottocento, a volte con la data di nascita e di morte, come fosse una lapide: William Turner, del 1971, o il ciclo di opere intitolate: Omaggio al colore, in cui campeggiano le scritte:”Manet”, “Cezanne”. Nel novembre del 1970, partecipa alla mostra: “Vitalità del negativo nell’arte italiana 1960/70”, curata da Achille Bonito Oliva per gli Incontri Internazionali d’Arte al Palazzo delle Esposizioni di Roma.
Al 1972 risale la mostra personale alla galleria Levi di Milano, presentata da Tommaso Trini, in cui espone i nuovi quadri della serie: Omaggi al colore; nel novembre dell’anno successivo partecipa alla grande rassegna internazionale “Contemporanea”, curata da Achille Bonito Oliva per gli Incontri Internazionali d’Arte ed allestita nel Parcheggio di Villa Borghese a Roma. Nell’aprile del 1975 espone alla galleria Cocorocchia di Milano presentato da Maurizio Calvesi.
Nel 1976 Tano Festa incontra la giornalista Antonella Amendola, che gli sarà accanto fino alla sua scomparsa. Nel maggio dello stesso anno nella galleria di Gian Enzo Sperone a Roma tiene una mostra intitolata “Storia familiare degli utensili”, dove presenta tre installazioni e i due grandi quadri tratti dal Las Meninas di Velasquez, dipinti con lo smalto e l’anilina sulla base di una tela emulsionata. Giuliano Briganti in una recensione apparsa su “Il Corriere della Sera”, enumera i principali temi della sua poetica: l’autobiografia, la metafisica, il tema della morte Dipinti con smalto e anilina sulla base di una tela emulsionata sono anche i quadri della serie: “Le Piazze d’Italia” e dei “Rebus”; questi ultimi presentati in una mostra personale alla galleria Dell’Oca di Roma nel 1979. Nel 1978 ricompaiono nel lavoro di Festa le immagini della Cappella Sistina, ve ne sono alcune: “Dalla Creazione dell’Uomo” del 1978, in cui la testa dell’Adamo è dipinta con l’anilina di un blu intenso, ricalcata con matita bianca. Sulla tela appaiono delle macchie informi, create con l’acido, che disturbano la consueta sagoma. Nel 1978 è invitato alla Biennale di Venezia, dove tornerà ad esporre nel 1980, e nel 1984.
Tano Festa, nei suoi ultimi dieci anni di vita, si dedicherà soprattutto alla pittura ad acrilico. Il ritratto sarà il soggetto più frequente. Volti di amici o figure immaginarie prese dalla letteratura (Don Chisciotte, 1987), oppure volti allucinati che citano la pittura di Ensor (Il carnevale. Omaggio a Ensor, 1985). Nonostante siano figurativi questi dipinti di Tano Festa, non si possono definire naturalistici, soprattutto per la tecnica utilizzata che dà alle figure un carattere ermetico, oscuro.
Numerose saranno le mostre che nel corso degli anni ottanta documenteranno questo suo “ritorno alla pittura”. Tra le altre quella intitolata “Miraggi”, allo Studio Soligo di Roma, nel marzo 1981, nella quale apparvero fantastiche ed enigmatiche figure alate. A partire dalla fine degli anni settanta compaiono i Coriandoli, la cui tecnica consisteva nell’applicazione gestuale di coriandoli su una base preparata ad acrilico, con colori squillanti: rosso, verde, blu, (ma frequente è anche il fondo nero).
Tano Festa muore il 9 gennaio del 1988, all’ Ospedale San Giacomo di Roma, all’età di quarantanove anni. I funerali si celebrarono nella chiesa di Santa Maria del Popolo.
Nel marzo del 1988, poco dopo la scomparsa dell’artista, viene inaugurata una mostra antologica, a cura di Achille Bonito Oliva, ospitata dal Comune di Roma nei locali dell’ex Stabilimento Peroni, oggi Museo di Arte Contemporanea di Roma. Un altro importante omaggio al lavoro dell’artista è stata la mostra antologica ospitata nell’ambito della XLV Biennale di Venezia, nel 1993, nella sede di Ca’Pesaro intitolata : “Fratelli”, perché vi furono esposte, insieme alle sue, anche le opere del fratello Francesco Lo Savio, su invito di Achille Bonito Oliva e curata da Maurizio Fagiolo Dall’Arco.
L’ampio regesto del curatore, pubblicato in quell’occasione, rimane uno strumento indispensabile per l’esegesi dell’artista.

 

A cura di Teresa Ruggeri.

 

 

 

 

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